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il gioco che reggeva la terrazza
del vivere comune s’è disfatto,
duro è aver fede nel domani;
politici, severi personaggi,
non di acume arguto o retto,
dove rivolgete il vostro sguardo?
noi che vi ascoltammo nelle piazze,
levando i cuori alle vostre promesse,
come chi guarda le prime rondini,
certo che l’inverno fosse andato,
dissolti vi siete qual nebbia avara,
in quali stanze infrangeste il patto?
le vostre promesse eran quel patto,
ponte tra l’eletto e l’elettore;
se in voi confidammo fu per questo:
ogni voto è atto di fiducia,
una consegna fragile e profonda,
che v’affidava il senso del domani.
così, mentre la storia si consuma,
come se il ben comune fosse peso
e non la ragione d’ogni governo,
favellate ancor di liberismo,
ma il tempo dei mercati è caduto:
or è la finanza a torcer la gente.
l’uom ridotto a semplice fattore,
a una cifra che cresce o si ritrae
secondo l’oscillare della Borsa;
così, mentre tutto si uniforma,
ci chiedete d’essere produttivi,
come motore privo d’ogni quiete.
l'uomo ha un volto, una memoria,
è l’eco delle madri e dei padri
che con amor lo hanno concepito;
è voce che sogna e si consola,
è l’orma sulle strade quotidiane,
anche se il vostro occhio non lo vede.
basterebbe un atto di coraggio,
un gesto che riscatti la distanza;
ma il vostro tempo scorre altrove,
lontano dal popolo che attende
e s’aduna al fuoco d’una speranza:
freddi brillano i vostri palazzi.